Alessandra Zenarola su Versante Ripido

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Alcuni, leggendo il titolo della mia rubrica, probabilmente hanno pensato che si tratta di uno spazio che parla di letteratura che fa ridere.  Io, invece, ho pensato sempre che l’ironia nella letteratura ha moltissime facce tra le quali  c’è quella relativa al  linguaggio. A volte, quando dico a qualche poeta che la sua scrittura è ironica, egli mi guarda male; qualcuno cerca di ribellarsi… come se avessi parlato di qualcosa di scabroso e di grave. Invece, non si ribella, in modo assoluto, Alessandra Zenarola. È completamente coscienziosa delle sue capacità, della sua ironia trascendente che padroneggia il suo linguaggio espressivo. Ho conosciuto la sua scrittura in un’occasione speciale: nel 2014 dovevo presentare il suo romanzo appena uscito “L’autunno dell’anno prima”,  edito da Scrittura&Scritture. La leggerezza con la quale questo libro è scritto non toglie nulla alla serietà del tema affrontato. Libro veloce, curioso e affascinante. Lo lessi in pochi giorni. Anzi lo divorai in pochi giorni, perché il libro era predisposto per essere ‘mangiato’ in un colpo solo.  Direi, un romanzo moderno da portare in giro con sé, in treno, al mare…
Ricordo anche quelle 50 copie vendute in 5 minuti alla Ubik di Udine e l’incredulità della proprietaria della libreria che continuava a ripetere che non le era mai capitato di vendere così tante copie durante la presentazione di un libro… Infatti, durante la presentazione, è bastato leggere alcune pagine del libro per stuzzicare le persone presenti, attirarli  con un linguaggio fresco e una ironia benevola che ti mette buon umore e, in più,  ti accompagna con la sua vivace immaginazione. Secondo me, i libri di Alessandra sono molto adatti ad essere portati a teatro, e questo è merito della sua  capacità di creare personaggi forti e differenti, raccontarli,  metterli come  caramelle  sul vassoio per poi, scegliere quello che ti attira di più… e gustarlo.
Non sono da meno neanche i racconti, alcuni dei quali sono stati pubblicati nelle “Smagliature” (Edizioni del Sale): scene prese dalla vita quotidiana prese così come sono e messe sulla carta. Le scenette, le gaffe, le storielle viste con un occhio ironico e amorevole,  trasformate in linguaggio molto scorrevole, paratattico ed equilibrato,  con il grande uso di analessi. Insomma, nella sua scrittura si intravede la base solida e completa di chi sa raccontare.
Quest’oggi vorrei proporre al pubblico di Versante ripido, un racconto inedito di questa scrittrice: “Il numero perfetto” nella speranza di farvi sorridere, e perché no – ridere (anche).


IL NUMERO PERFETTO
Racconto

Alle quattro ho mandato un esse emme esse alla mia amica Bea.
Un invito semplice per un aperitivo in centro. Avevo voglia di vederla, di passare un’oretta con lei. Per non dirle nulla di particolare, per dirle che mi piace la borsetta viola che mi ha regalato per il compleanno, che mi piace avere lei come amica, che bere un bicchiere o due in sua compagnia è una delizia.
Cose così, senza importanza ma fondamentali.
Bea mi risponde che sì, va bene, ci si trova alle ore diciannove davanti al Mister Bitter..
Non passano dieci minuti che Bea mi manda un secondo messaggino. Ho invitato anche Nina, scrive, così ci siamo tutte e tre.
Voglio bene a Nina, noi tre, io Nina e Bea usciamo spesso insieme. Il cinema, le terme di Bibione, cenette. Tre dicono che sia il numero perfetto, in due si litiga, in quattro ci si parla addosso.
Però io oggi avevo voglia di vedere Bea, un’esigenza intima, di me e di lei che rimestiamo nel passato ed evitiamo di ipotecare il futuro.
Così le ho scritto un messaggino anch’io, avrei preferito che fossimo io e te da sole. Mi sono pentita nell’istante stesso in cui il mio pollice ha premuto il tasto Invio.
Sei, sette minuti dopo, il tempo di metabolizzare il mio messaggio, Bea mi telefona. E’ confusa e contrita, io sdrammatizzo, lei dice che ha già telefonato a Nina per chiederle di non raggiungerci.
“E perché?” domando io col cuore vagamente in subbuglio.
“Perché tu mi hai detto che non la volevi”.
“Ma nooo”, grido al telefono, “non ho detto che non volevo Nina, ho detto che avrei preferito che fossimo sole io e te, scusa ma è diverso voler stare con qualcuno dal non voler stare con chiunque altro non sia quel qualcuno. E… cos’hai detto a Nina per giustificare la sua presunta assenza?”
“Le ho detto che tu avevi dei problemi seri e che me ne dovevi parlare.”
“Va beh”, dico io rassegnata.
Metto giù il telefono con Bea e chiamo Nina.
E’ gentile ma fredda, ah ciao.
“Scusa”, le dico, “guarda che non volevo escluderti”.
“Neanche un fastidio” dice Nina, “del resto se hai dei problemi è giusto che ne parli solo con Bea”.
“Ma di quali problemi stai blaterando”, domando a Nina.
“Niente, Bea mi ha detto che non volevi vedermi perché hai dei problemi e devi parlarne solo con lei”.
“Diobono, ma non è affatto vero! Non ho alcun problema serio, i soliti, la mia allergia agli acari, devo pagare la tassa delle spazzature, ho paura di morire, ma non ho altro”.
“Non so” dice Nina, “mi fa piacere che tu non abbia dei problemi seri, però Bea ha detto così.”
“Ma Bea non ha capito una mazza!” dico io alterandomi un poco, “avevo voglia di passare un’oretta con lei ma questo non significa che odio te”.
“Ma chi ha detto che mi odi”, dice Nina, “però mi rendo conto che talvolta è meglio farsi da parte”.
“Guarda Nina che ci siamo fraintese”.
“Ah, dillo a Bea, io ho da fare adesso, visto che non ci vediamo, noi tre, mi sono messa a correggere le bozze del mio spettacolo. Ciao”.
Nina chiude il telefono. Io richiamo Bea.
“Perché sei andata a dire a Nina che ho dei problemi? È  una bugia, cioè li ho i problemi ma non così gravi da non potere bere uno spritz con Nina”.
“Oh” dice Bea tutta sostenuta, “allora se vuoi bere uno spritz con Nina vedetevi voi due. Avevo capito che Nina oggi non la volevi vedere…”
“Bea, non ho detto che vado a bere uno spritz con Nina, e neanche che non la voglio vedere. Ma sei sicura che non sei tu a non avere voglia di vedermi? No, perché comincio a sospettarlo”.
“Tu ti sei bevuta il cervello” mi aggredisce Bea, “mi dici che non vuoi vedere Nina, io le dico che tu non vuoi vederla e adesso sono io che non ho voglia di vedere te. Ma guarda che tu ti devi curare, eh”.
“Ah sì” dico io, “voi due piantate un casino senza limiti e vi inventate cose deliranti che io avrei detto e che non ho detto, e adesso viene fuori che la merda sono io?”
Si sono viste Nina e Bea. Io sono rimasta a casa, ho bevuto una limonata calda e ho guardato l’ultima puntata dell’Ispettore Derrick.



Alessandra Zenarola

È nata a Udine dove vive e lavora.
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Laureata in Servizi Sociali presso l’Università di Trieste, lavora come l’assistente sociale (ha una lunga esperienza in servizi psichiatrici e consultori familiari). È membro della Commissione Pari Opportunità del Comune di Udine. Ha pubblicato i romanzi “Il cowboy vanigliato” (Edizioni Montedit, 2003), “Un cuore di latta” (Editrice La Caravella, 2010), “L’autunno dell’anno prima” (Edizioni Scrittura&Scritture,2014), “Bassa marea”  (Edizioni Solfanelli, 2016). Nel 2008 è uscita la raccolta di racconti “Smagliature” (Edizioni del Sale). Ha vinto i concorsi “Amori molesti” (Yabooks) e “Donna&donne” (Casa editrice Edigiò).

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