Nika Turbina. La grande poesia di una piccola donna. Intervista a Federico Federici


L’idea di far conoscere Nika Turbina al pubblico italiano è coincisa con la nascita della mia rubrica 
PINRIDIN dedicata alla poesia giovanile. Sarebbe un peccato non approfondire la vita di una bambina che iniziò a comporre le sue prime poesie (senza ancora saper scrivere) all'età di 4 anni: soffriva di diabete e di una grave forma di asma, di notte si metteva seduta sul letto, respirando a fatica e mormorando delle parole. «Le poesie arrivavano all'improvviso, quando stavo male ed ero spaventata. È per questo che le mie poesie portavano dolore», ricorderà poi. Il periodo più produttivo invece  è fra i 7 e i 12 anni. Dopo, le poesie si fanno più rare. Gli ultimi anni della sua breve vita sono stati travagliati: alcool, delusioni e numerosi tentativi (discutibili?) di suicidio. Nel 2002 la sua vita si conclude tragicamente: all’età di 27 anni “cade” dal balcone della sua casa e muore. Ma chi era Nika Turbina?

Nika Turbina nasce a Yalta, il 17 dicembre 1974, in una famiglia di artisti. La madre, Maja Nikanorkina, è scultrice; la nonna, Ljudmila Karpova, interprete; il nonno, Anatolij Nikanorkin, scrittore e poeta. Raggiunge l’apice della notorietà all’inizio della vita, quando a soli sette anni i suoi versi appaiono su un quotidiano nazionale, grazie all’interessamento dello scrittore già affermato Julian Semenov. Nel giro di un anno la sua prima raccolta, Quaderno di appunti, viene pubblicata a Mosca con prefazione di Evgenij Evtušenko. In occasione del festival internazionale di poesia “Poeti e pianeta Terra” tenutosi in Italia nel maggio del 1985, le viene conferito il Leone d’oro di Venezia. Prima di lei, solo un altro poeta russo è stato insignito dello stesso riconoscimento: Anna Achmàtova. Nel 1984 viene pubblicata in Italia, dalle Edizioni del Leone, la raccolta di poesie Quaderno di appunti, con traduzione di Evelina Pascucci, presentazione di Franco Zagato, con un saggio introduttivo di Evgenij Evtušenko ed illustrazioni di Ernesto Treccani. Dell’autunno del 1988 è un viaggio negli Stati Uniti, l’incontro con Iosif  Brodskij e la pubblicazione della seconda raccolta, Passi verso l’alto, passi verso il basso, a Mosca nel 1991. Da allora, le sue poesie sono state tradotte e pubblicate in dodici paesi. Divenuta ormai ragazza, Nika si trasferisce a Mosca. Studia per qualche tempo presso l’Istituto di Cinematografia e l’Istituto di Cultura, prende parte come attrice ad alcuni film, continua a viaggiare molto. Trascorre l’ultima parte della sua vita lontano dall’attenzione generale. Nel 2004 Alexander Ratner, dopo la tragica morte di Nika, in occasione del trentesimo anniversario della nascita, cura la prima e più completa edizione postuma delle sue poesie Per non dimenticare, contenente l’intero corpus poetico precedentemente edito, arricchito di inediti e stralci dal suo diario. Nel 2008, in Italia, per le Edizioni di Via del Vento, esce Sono pesi queste mie poesie, prima raccolta postuma in traduzione, curata e tradotta da Federico Federici al quale mi piacerebbe fare qualche domanda, per approfondire alcune questioni legate più alla creatività di questa bambina-prodigio che ai misteri attorno agli ultimi anni della sua vita.
In fondo all'intervista potete trovare un video che raccoglie alcune piccole registrazioni fatte durante le letture e le immagini di Nika Turbina prima della sua scomparsa. Nonostante la registrazione fatta in lingua russa, si vede chiaramente il grande talento e la grande sensibilità di questa straordinaria poetessa.


Intervista

Sei l'unico in Italia a conoscere la storia e la poesia di questa poetessa-bambina, so che l'hai tradotta dal russo e l' hai pubblicata. Come mai la tua scelta è caduta su Nika Turbina?

Credo che, per quanto paradossale possa sembrare la mia affermazione, Nika Turbina ed io ci siamo cercati e trovati al di fuori di qualsiasi logica temporale, con il solo dato certo di essere nati entrambi nel 1974.
Negli anni Ottanta, quando le sue poesie erano già lette e tradotte in tutto il mondo, io conoscevo appena forse qualche filastrocca per bambini. Non ricordo di aver mai sentito il suo nome, neppure al telegiornale. Del resto, in anni in cui internet non era che un sogno pionieristico, nascere in un luogo o in un altro era come per un seme cadere in una fessura dell'asfalto o in un campo: nel mio paese, anche all'inizio degli anni Novanta, ordinare una raccolta di Boine o Sbarbaro in libreria era quasi un atto sovversivo, da compiere con pudore e discrezione, figurati se sarebbe stato possibile imbattersi in un volumetto di Nika Turbina, che pure, nel 1984, era stata tradotta per le Edizioni del Leone. Ci volle la spinta di un fatto di cronaca, perché mi trovassi tra le mani un articolo su di lei: nel 2002, anno della sua tragica scomparsa, apparvero alcuni versi in fondo al trafiletto di un quotidiano che riportava la notizia. Li ritagliai e da allora iniziai a cercarne altri in rete e a tradurli dall'inglese. Poco alla volta, mi avvicinai anche alla lingua russa, per rimuovere l'ultima barriera che mi separava dalla sua scrittura.
Dopo alcuni anni e qualche riscontro su rivista, pensai di contattare editori potenzialmente interessati a pubblicare un libretto. Non ricevetti (o quasi) risposta per molto tempo, sino alla telefonata di Fabrizio Zollo delle Edizioni di Via del Vento, nell'autunno del 2007. Da questo momento, si susseguono tutta una serie di "coincidenze fortunate", che danno veramente il senso di quello che dicevo in partenza. Zollo mi chiedeva di contattare la famiglia, per avere una liberatoria ufficiale, ma io non conoscevo nessuno. Mi ingegnai e, usando per prudenza uno pseudonimo, iniziai a contattare a caso, via chat, persone di Yalta, spiegando per sommi capi le ragioni della mia ricerca. Si fece avanti una ragazza, colpita dalla singolarità del mio approccio e mi promise di tentare qualcosa. Passarono alcuni giorni e ricevetti un primo messaggio nel quale mi informava di aver consegnato la mia email stampata alla persona che viveva nella casa d'infanzia di Nika Turbina, in contatto però con la famiglia; un altro paio di giorni ancora e mi scrisse che la nonna di Nika sarebbe stata felice di conoscermi e aiutarmi e mi passò indirizzo di casa e recapito telefonico. Questo accadeva, più o meno tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del 2008. Il fatto più singolare ed emozionante accadde però il giorno del mio compleanno. Dopo la telefonata di Zollo, nell'autunno precedente, avevo deciso di ordinare su internet una copia di “First Draft”, il primo libro di traduzioni in inglese uscito per le edizioni Marion Boyars: volevo fare un controllo incrociato tra le versioni che avevo consultato sino a quel momento e l'originale in lingua russa. Trattandosi di un fuori catalogo, lo acquistai usato da un negozio americano, pagandolo meno di un dollaro. Nel frattempo, temevo si fosse perso in astruse procedure doganali, invece, il 6 febbraio, giorno del mio compleanno, arrivò con tutto il carico simbolico che racchiudeva: nella prima pagina, una dedica autografa di Nika Turbina recitava: “Per non dimenticare questo momento”. Ora, non voglio qui dilungarmi sulla storia di quel volumetto, che pure sono riuscito a ricostruire, ma quella fittissima rete di straordinarie coincidenze mi diede l'impressione di una forza poetica in grado di bucare la morte, scavalcarla, renderla parte viva di una vicenda terrena non ancora terminata.

Secondo te, quanto la poesia russa ha influenzato la scrittura di Nika Turbina?

Ritengo che la principale eredità da lei raccolta e rielaborata si debba ricercare nell'uso delle immagini, nella capacità di mettere un dettaglio marginale al centro della storia, trasformandolo nel simbolo di un valore universale. Questa dote è tanto più sorprendente in una bambina, quanto più è ricercata, talvolta inutilmente, con mille accorgimenti in autori più adulti. Da questo punto di vista, si può dire che Nika Turbina abbia posseduto il dono innato di far coincidere in sé la lingua con il sentimento del mondo.

Quale ruolo l’ambiente domestico ha avuto nella crescita della giovane poetessa? Era geniale, con il DNA poetico nel sangue o soltanto ‘influenzabile’?

L'ambiente in cui è cresciuta, una famiglia di letterati e artisti, è stato importante, ma gli esiti felici di quei primi anni sarebbero stati impossibili senza qualità innate. In altre, meno favorevoli, circostanze, Nika Turbina avrebbe forse faticato a riconoscere subito la propria voce, ma non l'avrebbe certo persa o mancata. Fortunatamente, ha trovato anzitutto ascolto nella madre e nella nonna, che hanno saputo vedere dietro e oltre quelli che potevano essere scambiati anche solo per "giochi” sorprendenti e originali. Questo le ha permesso di sviluppare quella precoce consapevolezza, da alcuni forse fraintesa con l'atteggiamento tipico dei bambini che si fanno seri giocando.      
Come documentano svariati aneddoti disseminati nelle interviste a Evtušenko, suo mentore per anni, Nika Turbina partiva da un'idea ben definita del testo poetico che avrebbe composto, un'idea fondata su precise immagini o scelte lessicali, sulle quali difficilmente era disposta a tornare in fase di revisione e che anzi difendeva a oltranza, ribattendo alle obiezioni con acume spiazzante. Per usare una suggestione musicale a lei cara, ogni nota suonata è irrecuperabile, è quello che è stata in quel momento e il suo effetto sul resto del componimento non può essere modificato a posteriori e va accolto e custodito.

Di Nika Turbina è stato scritto molto, la sua biografia è piena di note drammatiche che hanno colpito il pubblico. Cosa c’è dietro questo destino perverso?

Parecchi risvolti biografici hanno conferito alla sua arte un tono profetico, esasperati o interpretati in modo malizioso a posteriori. Uno, forse tra i meno noti, riguarda il film di Ayan Shakhmaliyeva, “Eto bylo u morya” (1989), titolo che cita un verso di Igor Severjanin. Nika Turbina interpreta la parte di una ragazzina inquieta, ospite di una struttura a metà tra un orfanotrofio e un ospedale per bambini gravemente malati. In una scena, si sporge da una finestra e sembra percepire e sfidare il peso del proprio corpo e la vertigine del vuoto. Alcuni hanno intravisto in questi pochi fotogrammi l'ennesimo sberleffo del destino.
Come in altri casi, del resto, leggere l'intreccio tra arte e vita come un fatto singolare ma limitato alla personalità dell'autore, rischia di ridurre l'interpretazione all'abuso di cliché deboli e prevedibili. Qui, lo sdoppiamento della vita nella scrittura delinea una figura matura, a tratti materna, attraverso cui Nika Turbina mostra di sapersi rivolgere a sé e agli altri, toccando il valore del tempo e della fragilità individuale, facendosi testimone non di un destino esemplare, ma di ogni uomo.

È giusto crescere così presto e se conosci altri casi di poeti così giovani?

Non credo si possa parlare di “giustizia” in questo senso e neppure di “volontà”: ci sono, come dicevo, circostanze più o meno favorevoli allo sviluppo precoce di doti creative, scelte culturali che hanno origine nel tessuto familiare o sociale. Mi viene da pensare a certi sbalzi di clima, che possono indurre fioriture anticipate o tardive, certamente rischiose per la pianta se tali condizioni cessano all'improvviso.
Nel caso dell'Unione Sovietica, la figura del poeta-bambino acquisiva un ulteriore risvolto politico, quale prova tangibile dell'efficacia di una precisa impostazione ideologica. In quel contesto, però, la personalità individuale non doveva prendere il sopravvento. La propaganda richiedeva che la vicenda non risultasse troppo ordinaria, altrimenti se ne sarebbe indebolito il valore simbolico, né troppo singolare e isolata, altrimenti sarebbe apparsa fortuita, slegata dall'ideologia. Di molti si è, per questo, perso il nome, bruciati in una luce intensa, ma troppo breve.


Nika ha iniziato a scrivere durante il periodo del comunismo. Ricordo bene quei tempi fatti di una calma politica apparente e di un grande interesse verso la cultura. Poi, negli anni ‘80-90 arrivò Gorbacev e la perestrojka. Dicono che da grande Nika abbia perso l’interesse per la poesia o scriveva poco. Non so se sei d’accordo, ma secondo me l’intellighenzia non era pronta al capitalismo che portò il nostro paese all’impoverimento culturale e ad una certa insicurezza. Questo passaggio in qualche modo colpì anche la giovanissima Nika. O sotto questa sua famosa frase “Tutto quello che dovevo, l’ho detto da bambina nelle mie poesie. Non c’era bisogno che divenissi donna” si nasconde qualcos'altro?

            Sono d'accordo con te quando accenni a una rivoluzione tanto improvvisa e profonda da aver spazzato le precedenti certezze, senza rimpiazzarle. Qualcuno sperava di combinare nella nuova vita il meglio di due sistemi antitetici, qualcun altro si è semplicemente gettato alle spalle tutto, cultura compresa, con un atto catartico, ma fatale. Per molti la perestrojka è stata forse un momento di rottura, di contraddizioni affioranti, un'adolescenza storica collettiva, che ha rimescolato le generazioni in vista di una maturità mai raggiunta.
Feroci sono le prove con cui il tempo sottomette l'individuo. La frase che riporti sembra esorcizzare questo fatto attraverso la sua stessa consapevolezza. Le immagini di stanze chiuse, case disabitate, giardini incolti hanno spesso fornito a Nika Turbina il pretesto per soffermarsi sul senso di ciclica irreversibilità della vita, che costituisce insieme il dramma e il paradosso di tutto. L'averlo scoperto sin dall'infanzia non l'ha però salvata: conoscere in anticipo il finale non ha modificato la trama.
C'è una frase, sempre tratta dal suo diario, a cui mi hai fatto ora ripensare e che mostra come Nika Turbina sia tornata su questo tema anche negli anni più tardi, con la stessa disarmante lucidità e impotenza. Cito a memoria: «la vita mi ha mostrato spesso il suo volto. Ciò che ho raccolto lo dirà il tempo. E ciò che conta è questo: non ho mai mentito, non ho mai tradito, mi sono caricata in spalla il dolore degli altri».

Poesie:

I.
Подожди,                                      Lascia,
Я зажгу фонарь                            accendo io le luci
Осветить откос,                            lungo la discesa
По которому                                 che ti precipita
Ты скатишься во тьму.                nel buio.


II.

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Белый лес.                                         Bianco, il bosco.
Белые глаза.                                      Bianchi, gli occhi.
Люблю белое.                                   Sono bianche le cose che amo.
Хотелось снегурочкой стать –        Il mio desiderio di fanciulla di neve,
Строка обгорелая.                            ridotto a una riga bruciata.


III.
Слышу звук свой                              Percepisco la segreta
Надорванный,                                    nota del dolore,
В нем мысли и чувства                     dove si radunano
Собраны.                                            i pensieri e i sentimenti.
Строчку диких рисунков                  Del mio verso farò
В стихах запишу –                             riga di selvaggi abbozzi
Почитать бы кому.                             da leggere a qualcuno.

IV.
Я — клоун.                                             Io sono un pagliaccio.
Хожу по обручальному кольцу.           Percorro un anello nuziale.
А с кем я обручен?                                A chi sto legato però?
Разве только                                           Forse a dei palloncini
С разноцветными шарами.                   di mille colori soltanto.


V.
Переводя себя на речь,                      A forza di farsi parola,
Душа устала                                       si sfinisce l’anima a vegliare
Земной бездушный мир стеречь.     la pace di un mondo senza cuore.
Любить, прощать,                              Ad amare, perdonare,
Меня терпеть.                                     a sopportarmi.





Federico Federici (1974) vive tra l'Appennino Ligure e Berlino, insegna fisica, traduce e collabora con riviste in Italia e all'estero. Suoi contributi e testi sono comparsi su «Raum Poetry», «SAND, Berlin’s english literary journal», «Utsanga», «Ulisse», «Semicerchio» e altre. Tra i libri: L'opera racchiusa (2009, Premio L. Montano); Appunti dal passo del lupo (2013, collana a cura di E. De Signoribus); Dunkelwort (2015) presentato al Festival di Berlino “Stadtsprachen”; Parabellum (2017); Mrogn (2017, Premio E. Pagliarani). Nel 2017 ha vinto il Premio L. Montano per la prosa.

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